Io sono una da foto facile: mi piace fotografare (senza nessuna pretesa professionale) tutto e subito, e in questo la tecnologia mi ha reso le cose più facili, anche se poi i risultati non sono sempre come vorrei (a volte ho davvero l'impressione che l'occhio umano riesca a cogliere e a dare quella sfumatura che un obiettivo non potrà mai).
Il mio compagno invece è un tipo da foto lente. Usa ancora una macchina fotografica con rullini, le sue foto sono pensate, attese, preparate e calibrate a seconda di luce, lontananza, effetto da creare. Questa differenza dice tanto di noi, di come viviamo certe situazioni della vita, della coppia e anche della genitorialità. Mi piace pensare che ci si compensi, che ci servano sia le mie foto sia le sue, anche e soprattutto quando si ritrae la stessa cosa.
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Vi è mai capitato di immaginarvi diversi? Di sognare di essere più... bravi belli intelligenti capaci (inserisci l'aggettivo che vuoi tu)?
Ecco, quando lo facciamo, lì dentro ci mettiamo una parte di nostre aspettative su noi stessi, delle aspettative che sentiamo gli altri hanno su di noi e ciò che vorremmo essere, l'immagine più bella di noi stessi, ovvero il nostro "sé ideale". Questo ideale di noi stessi ci guida nel porre degli obiettivi che ci soddisfino ma occorre stare attenti affinché non diventino troppo disancorati alla nostra realtà. E nella relazione cosa succede coi sé ideali? Può capitare di avere delle aspettative su di noi e sull'altro, su come vorremmo essere, su cosa l'altro dovrebbe fare e così via. A volte queste aspettative sono raggiunte e stiamo bene. Altre volte sono invece disattese e questo può portare senso di colpa ("non sono come tu mi vuoi") insoddisfazione o tradimento ("non sei come credevo tu fossi") e un generale malessere nella relazione. Può capitare anche nella relazione con i figli, quando li investiamo di aspettative che forse però riguardano più noi e i nostri sogni che loro. Oggi nelle storie su Instagram abbiamo condiviso proprio questa tematica: raccontaci la tua esperienza! Mi sono commossa leggendo queste righe: la descrizione dell'amore tra una bambina, senza più mamma e papà, e l'unica suora che, nel convento, riesce a relazionarsi con lei come una figura materna.
Mi sono commossa pensando a quanta mancanza ha sofferto la protagonista, a quanto sono stati preziosi per lei e per il suo diventare adulta quegli scambi di affetto. Quanto è vitale avere qualcuno che ci guardi con gli occhi pieni di amore e da guardare con altrettanta intensità. Mi sono commossa, perché, nonostante le mille differenze, quel "bene" è come quello che ci scambiamo anche io e Vera e fino a quando sentirò che c'è, potremo fare un passo dopo l'altro! Nuova storia da leggere con Vera!
È diventato un rituale pre nanna da quando lo abbiamo comprato. E ogni sera ci ricorda che la felicità a volte arriva, a volte scappa, a volte la si vede, altre si nasconde ma, soprattutto, comincia sempre e solo da noi stessi. "Tutti hanno bisogno di felicità nella vita ma questa può essere difficile da trovare e a volte lontanissima. Eppure c'è un posto dove si può sempre trovare la felicità ed è il posto dove dobbiamo ritornare" #evaeland #nordsudedizioni Nasce un figlio, una figlia e nascono anche due genitori.
Nei mesi precedenti la nascita, si immagina tanto e forse tutto! Come sarà, come saremo noi, cosa farà, cosa faremo. E intorno, tanta magia, buoni propositi, solo "cose belle". Dopo la nascita ci si scontra con le prime difficoltà (magari qualcosa che non avevamo contemplato) e ritrovare quelle immagini così positive che avevano accompagnato la gravidanza può essere complicato. Vogliamo rassicurare le neo mamme e i neo papà che va bene così. Che fa tutto parte del gioco! Che si impara strada facendo e che non c'è un giusto o uno sbagliato. Il vero metro di misura restiamo sempre noi, il nostro benessere come individui e come famiglia, e... i nostri sorrisi! Insieme a Anna Gigliarano e Valentina Rocchio vogliamo RICORDATI CHE: I genitori sono sempre ben felici quando i figli hanno una vita sociale positiva. Fin da piccoli ci preoccupiamo che giochino con gli altri, che interagiscano, che socializzino. E, per forza di cose, ci capitano spesso situazioni in cui scoppia un litigio, i bambini si spingono, si rubano i giochi, alzano le mani. A volte non sappiamo bene come intervenire, se andare in soccorso o lasciare che se la sbrighino da soli.
Prima di porci questa domanda sul "cosa fare", proviamo a soffermarci sullo sviluppo del bambino. A due anni il bambino agisce per SANO "egoismo":tutto è suo! Sta scoprendo il mondo e non ammette intralci. Ha appena imparato che non è più un tutt'uno con la mamma, ma che è un esserino dotato di libertà di azione. I suoi NO, le sue prese di posizioni che a noi sembrano capricci, i suoi MIO, sono tutti modi per sperimentare questa grande scoperta: sono IO! Ovviamente ciò si riscontra anche e soprattutto nell'interazione con i pari. I giochi diventano suoi, vengono strappati di mano, a volte l'altro viene picchiato. Non c'è nulla di strano o anormale. E' solo dai 4 anni infatti che il bambino inizia a comprendere i meccanismi della relazione, che con gli altri ci si può anche divertire! Le interazioni, proprio tramite il gioco diventano sempre più complesse e profonde. Più sta con gli altri più impara a ...stare con gli altri! Ma allora che si può fare? Possiamo iniziare a fargli notare che esiste un altro diverso da sè, provare a spiegare che lo strappare, lo strattonare, lo spingere fanno male all'altro bambino e lo rendono triste. Già da piccoli possiamo insegnargli ad usare PAROLE IMPORTANTI COME GRAZIE, SCUSA, PER PIACERE...(ricordiamoci sempre che noi siamo la sua prima fonte di apprendimento, quindi usiamole prima noi in quante più occasioni possibili, anche con lui!) La punizione per il suo comportamento "socialmente sbagliato" non ha grande utilità, perché il bambino sta imparando e non ha ancora pienamente sviluppato tutte le capacità che gli permettono di comprendere appieno. Quando mettete i bambini piccoli in castigo e loro "non ascoltano, provocano", beh, è perché non hanno compreso. Ciò non vuole dire che non ci debbano essere regole, anzi! Poche e fondamentali. Verso i sei anni, i bambini sviluppano ancora di più la consapevolezza di chi sono e del fatto che possono entrare in relazione con gli altri. Aumentano sentimenti di imbarazzo, vergogna, colpa e timore, ma anche di rabbia, frustrazione e impotenza. A questa età i bambini però iniziano a comprendere ciò che è bene e ciò che è male. Quindi diventa molto importante aiutarli nel prendere sempre più consapevolezza delle loro emozioni (che bel gioco!), dei loro desideri (lo vorrei per giocare) e di come raggiungerli senza far male all'altro (posso chiedere di giocare insieme o di prestarmelo per un po'). Continuare ad insegnare le regole dello star bene insieme: come si fa per chiedere un gioco, come perdonare, chiedere scusa, come chiedere che venga ridato un gioco preso senza permesso, fare a turno etc. Quando vediamo dei comportamenti aggressivi, è sempre meglio riflettere insieme, capire cosa è successo, come si sta, parlare, aiutare a chiedere scusa piuttosto che dare una punizione, col rischio che non ne vengano compresi i motivi. Dietro uno spintone o un calcio, c'è la rabbia e dietro la rabbia...un bisogno a cui non sanno ancora dare voce. Supportiamoli sempre, ricordiamoci che stanno imparando! Se insegniamo come gestire un conflitto in modo positivo, possiamo successivamente provare a lasciare che siano loro a cavarsela da sé e vedere come va. Non dimentichiamoci che loro sanno essere molto più creativi di noi nel risolvere situazioni problematiche. Verso i 12 anni, si intensifica il bisogno di definire i propri confini personali, questa volta per trovare una propria identità, che sia staccata da quella dei genitori. Il "gruppo" diventa un fattore chiave nella vita di un dodicenne. Si gioca, si sta insieme, si cresce! Lo sviluppo cognitivo è tale da permettere al ragazzo di comprendere quali sono i valori sociali e prendersi la responsabilità degli effetti delle sue azioni. L'intervento dell'adulto deve essere mirato ad aiutare a comprendere quali bisogni sono stati calpestati, che emozioni sono in gioco. Aiutare nel trovare modalità di interazione che siano rispettose per tutti quanti. Far riconoscere che la propria libertà (legittima!) ha dei limiti e che si può causare intenzionalmente un danno. provare a far mettere nei panni dell'altro. Parlare, confrontarsi, discutere! La punizione (calibrata a ciò che è stato fatto e all'età) può essere applicata quando la regola, prima condivisa con l'adulto, viene poi infranta intenzionalmente. Occorre poi essere ben consapevoli che dietro l'aggressività (ripetuta e costante) di un ragazzino può celarsi però un vero malessere e, come adulti, abbiamo il dovere di prendercene cura. La felicità è un ingrediente importante per la crescita. Ma può diventare un ostacolo? Vi propongo due spezzoni di film La famiglia Bélier La ricerca della felicità Quando diventiamo genitori investiamo così tanto tempo, energie ed amore nei figli che rischiamo di caricarli di troppo grandi aspettative... come ad esempio, quella di renderci felici. Ci aspettiamo, inconsapevolemente, che siano loro a doverci fare felici. E ai figli passa il messaggio che il loro dovere è essere come i genitori si aspettano, affinché siano orgogliosi di loro. Altre volte capita di dedicarsi completamente ai figli, per farli felici, e la nostra felicità diventa "vedere i figli felici", prendendoci tutta la responsabilità e dimenticando che una parte spetta a loro e che noi genitori possiamo trovare una fetta di felicità al di fuori del ruolo genitoriale. Ma quali sono le conseguenze? Nel primo caso, figli non riescono a trovare la loro strada e ciò che desiderano davvero, perché sempre concentrati a soddisfare i genitori. Faranno fatica a lasciare i genitori da soli, sentendosi in colpa per renderli tristi e temendo di deluderli se faranno scelte diverse dalle aspettative genitoriali. E i genitori saranno ricompensati dall'avere, apparentemente, un figlio proprio come lo desiderano, senza però conoscerlo pienamente. Nel secondo caso, i genitori non riescono a trovare la loro felicità al di fuori dei figli e possono o trattenere i figli troppo vicino a sé o sentirsi persi quando i figli usciranno di casa. Continueranno a farsi carico della felicità dei loro "bambini". Per i figli, diventerà difficile riconoscere di avere le capacità e le risorse per realizzarsi ed essere felici da soli, caricando sopra qualcun altro questa responsabilità (magari con il rischio che venga disattesa). Cosa ci può aiutare? A volte ci carichiamo così tanto della responsabilità di fare felici gli altri che faremmo di tutto per loro, aspettandoci in cambio la loro serenità. MA la felicità è una conquista che arriva INDIPENDENTEMENTE da quello che qualcuno può fare per noi, perchè è nostra. Ciò che può fare l'altro per noi è STARCI ACCANTO nel nostro viaggio alla ricerca della felicità. Se vi interessa, potete approfondire altri temi sull'importanza del rispettare i propri bisogni qui e sul "troppo amore" qui I tuoi figli non sono figli tuoi. Ci sono dei luoghi che, quando torno, mi fanno tornare indietro nel tempo, a quando ero una bambina e d'estate si girava in bicicletta con le amiche tra questi sentieri nei boschi. Mi sembra di aver bisogno, ogni tanto, di ritrovarmi in questi posti, di sentire ancora quelle sensazioni provate anni fa, di riconnettermi con la bambina che ero.
E citando Calvino "D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. O la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere" Qual è il vostro luogo d'infanzia in cui vi piace tornare? Mamma, mi fai? Mamma mi aiuti? Mamma mi guardi? Mamma? Maammaaaa?
Uh, quante volte ci sentiamo chiamare in una giornata dai nostri figli! Ogni mamma conosce bene questa sensazione! I piccoli, come scrive la psicomotricista Valentina Rocchio, hanno bisogno della mamma (e del suo tempo) per soddisfare i propri bisogni. Quando diventiamo genitori mettiamo da parte i nostri bisogni individuali per dare spazio a quelli dei figli. Questa sensazione può fare piacere, innervosire, stancare, a seconda di tanti fattori. Ogni tanto vorremmo staccare la spina, ci sembra di non avere più energie, neppure dieci minuti al giorno per noi stesse. La psicologa Anna Gigliarano evidenzia bene come i bisogni dei figli possano influenzare quelli dei genitori e viceversa! Ecco che allora nella quotidianità diventa difficile ... Io non ho ricette magiche, né risposte o suggerimenti pratici su come gestire il vostro tempo (siete bravissimi da soli!) Mi piacerebbe però lanciarvi delle domande : Come mai e quando avete deciso che il tempo per voi poteva farsi da parte? Come mai e quando avete deciso che tutto il tempo, anche quello immaginato, quello potenziale, va dedicato ai figli? Che mamme e papà vi sentireste ad usare del tempo per voi e non per i vostri figli? Cosa cambierebbe in NOI e intorno a noi se dedicassimo un'ora, due ore, a noi e solo noi stessi? Da maggio, inaugureremo la "Rubrica del giovedì"! Sarà uno spazio dedicato alle famiglie (di ogni tipo!), ai genitori, ai figli, per parlare di tutto ciò che riguarda il crescere insieme.
Affronteremo varie tematiche, risponderemo alle vostre domande e cercheremo di confrontarci per far nascere spunti di riflessione e nuovi punti di vista! Non sarà una rubrica per soli genitori di figli piccoli ma ci piacerebbe che prendessero parola anche i genitori e i figli più "grandi"! Chi siamo? Oltre a me, ci sarà @annagigliarano_psicologa e @valentina_rocchio psicomotricista Saremo attive su Instagram ma potete lasciare commenti e domande anche qui! |
Emma Montorfano
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Febbraio 2023
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